Un ossimoro

“È un incubo. Sì, soltanto un incubo” mi dico con gli occhi sgranati nel buio, il sudore che mi bagna le tempie e un tremito che scuote il corpo. M’impongo la calma.

Un gigante, l’elmetto in testa, la tuta mimetica, l’arma in spalla, un grappolo di bombe a mano nella cintura, mi è apparso in sogno, mi ha scosso, mi ha guardato negli occhi con lo sguardo allucinato. Le sue braccia si agitavano e il corpo si piegava minaccioso sul mio, mentre urlava: “Oppressione! Oppressione!” col fiato puzzolente sulla mia faccia. Dietro di lui, appariva d’un tratto un altro uomo armato, lo scansava e, a sua volta, urlava: “Libertà! Libertà!” E, poi, entrambi hanno imbracciato l’arma e me l’hanno puntata contro, ripetendo: “Oppressione!” l’uno, “Libertà!” l’altro, mentre una raffica di proiettili mi colpiva in pieno petto.

“Sono morta” ho pensato, “uccisa al grido Oppressionee Libertà. I giganti si sono allontanati col passo pesante. Spingendosi l’un l’altro e agitandosi scomposti, mi hanno mostrato le spalle, poi si sono voltati e con un ghigno tra i denti hanno sussurrato all’unisono: “Verità.”

È al suono di questa parola che mi sono svegliata.

La guerra mi ha sorpreso nel sonno, si è fatta incubo in cui labile è il confine tra sogno e realtà. Oppressione, libertà, verità…: le parole dei guerriglieri con il corpo da gigante, lo sguardo allucinato e il fiato puzzolente, mi risuonano in testa senza un filo logico. O, magari, una logica, l’hanno. Non è la verità, forse, la prima vittima della guerra? Non lo è anche la libertà? Ma non è, forse, la stessa libertà una finta verità?

Buoni e cattivi sono stati dati in pasto alla Storia che, soltanto a volte, ha riconosciuto che i cattivi non lo erano poi così tanto e che i buoni non lo erano così tanto e, nell’immaginario che si nutriva di pietà, speranza, odio e crudeltà, di tutto il contrario di tutto – ché questa è la guerra, tutto il contrario di tutto – i buoni e i cattivi si sono succeduti, alternati, sono stati sacrificati e santificati, ora gli uni, ora gli altri, o buoni e cattivi insieme. La verità, in fondo, è una semplice visione delle cose e, di guerra in guerra, si trasforma in distillato di credenze cui abbandonarsi con la fede cieca di chi esige soluzioni afferrabili e possibilità di salvezza. Com’è facile instillare la fede su chi è impaurito, sfiduciato, ferito, arrabbiato, impietosito. Com’è facile soppiantare il dubbio, criminalizzarlo, perseguirlo, rinchiuderlo nei ghetti riservati agli appestati dal dubbio, categoria di esseri degni della peggiore discriminazione. La nostra epoca non è fatta per i dubbi, solo certezze devono alimentarla, quelle che gridano più forte delle altre, proprio come i soldati armati nel sogno. La verità finisce con l’essere occultata o declassata a una pubblica, mercificata e ipocrita rappresentazione al fine di dare un senso anche a ciò che senso non ha. E, allora, contro le oppressioni e per il bene della libertà, per quell’amore incondizionato verso chi soffre, per la difesa della pace, si continuano a comprare, vendere e usare armi e non c’è pace e libertà senza intervento armato e dai morti ci si salva soltanto facendo altri morti. Quale ossimoro… E popoli soffrono, uomini, donne e bambini muoiono per le strade o sepolti dalle mura delle loro case come pedine su una scacchiera di cui non muovono i pezzi, magari senza neanche capirlo, il movimento dei pezzi. Povera libertà, povera pace, ormai ridotte a colluttori per bocche sudice che la Storia non è riuscita a ripulire. Non esistono guerre giuste e umanitarie, non per chi muore abbandonato sull’asfalto di una città che città non è più, almeno. Ci sarà sempre qualcuno che riterrà che assassinare la gente sia sacrificabile al proprio interesse e che proverà a convincere gli altri che è giusto così. D’altronde, il racconto biblico di Caino assassino di Abele non è altro che l’affermazione della natura umana malvagia e omicida che mai può convertirsi in magnanima.

E, così, mi sveglio da questo incubo con la consapevolezza che, in fondo, incubo non è e mi abbandono al pianto ché, per me, qualunque rappresentazione si voglia darle, qualunque sia il filtro con cui si voglia ingentilirla, qualunque siano le ragioni con cui si voglia motivarla, qualsiasi guerra è intollerabile e inopportuna, umanamente e istituzionalmente. È questa l’unica verità accettabile. Mi rifiuto di confidare in una libertà e in una pace che si fanno ragione e strada con le armi in un’escalation pericolosa per l’umanità.

Ripiombo nel sonno. I soldati col mitra puntato ritornano. Anche se ferita, respiro ancora. Lancio un urlo furioso, a mia volta li colpisco violentemente con le gambe, riesco a spogliarli delle armi. Restano straniti e si allontanano con lo sguardo ancora più allucinato. Potrei sparare io, adesso. E, invece, rido e piango, piango e rido, e depongo l’arma.

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Antonella Perrotta

Laureata in giurisprudenza, appassionata di Storia e di storie, letteratura, teatro, autrice di romanzi e racconti. Performer dei suoi testi, ama donare corpo alla parola scritta.
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