Psiche torna a casa: dalla Metanalisi al sapere dell’anima

“In quel giardino io ero nella Psiche, mi accorgevo che tutto era psicologia intorno a me, tutto parlava psicologicamente. Il mondo è come un giardino in quanto si manifesta; è un mondo di cose come alberi, sentieri, ponti; è anche un mondo di intuizioni, di metafore, di insegnamenti – a disposizione di ogni anima che passa – dati con la facilità dei riflessi sul lago: il giardino rende più intellegibile e più bella l’interiorità dell’anima.” (J. Hillmann)


Non è possibile parlare di psicologia in un’ottica solamente scientifica: tutto ciò che ci circonda è Psiche. In quanto uomini sentiamo la necessità di semplificare l’incomprensibile, di rendere accessibili i misteri del mondo assoggettandoli alla nostra natura. Dal cervello “rettiliano”, ad una visione “mammifera “ e poi ancora “relazionale” ed infine “intersoggettiva”, le funzioni cosiddette superiori si sono evolute in modo tale da permettere un interscambio con l’ambiente e con gli altri. Chiunque mastichi un po' la materia è a conoscenza di studi che affermano il ruolo cruciale dell’interazione con l’ambiente nell’espressione genica e non solo, anche nello sviluppo della psicopatologia. Ciò dimostra che una visione veramente psicologica non può non inserirsi in un contesto relazionale. Attraverso l’ambiente fisico e relazionale è possibile acquisire competenze squisitamente umane alle quali siamo visceralmente legati. Una domanda sorge spontanea: in questo contesto, quale approccio terapeutico è il migliore per il trattamento della psicopatologia? Dal significato etimologico del termine che vede nella patologia una logica del dolore, all’unicità del soggetto in esame, non esiste un tipo di terapia che possa essere utilizzata per tutti. Nella ristrettezza della diagnosi categoriale non si può tener conto delle peculiarità della materia e del significato profondo che la patologia apporta nella vita del paziente. Categorizzando, si rende semplice ed accessibile ciò che in pratica non lo è perché parliamo di fenomeni non direttamente osservabili. Ed è in questo che la psicologia scientifica trova il suo limite. Diagnosi, prognosi e trattamento diventano l’obiettivo principale di studio e non i mezzi attraverso i quali comprendere la realtà. Certo, è necessario che clinici di diverso ordine possano comunicare tra loro in un linguaggio univoco che permetta di includere il paziente stesso anche in una visione olistica. Quindi sì, “Psiche torna a casa” quando si riconosce la sua inafferrabilità, quando le si restituisce il potere di esistere a prescindere da un nesso di causa ed effetto, riconoscendone la potenza e l’umanità.