Pier Paolo Pasolini, “La scomparsa delle lucciole”

“Lucciola del fiume -
la mia anima
tra foglie di gattici”.
(Giuseppe Scarane)
“Un uomo può essere nemico di altri uomini, di altri momenti di altri uomini, ma non d’un paese: non di lucciole, di parole, di giardini, di corsi d’acqua, di tramonti”. (Jorge Luis Borges, Finzioni, 1944)

La metafora delle lucciole

Il primo febbraio 1975 in un articolo sul “Corriere della Sera” Pasolini sferra un durissimo attacco polemico alla Dc servendosi della metafora della “scomparsa delle lucciole”.
“Nei primi anni sessanta, a causa dell’inquinamento dell’aria, e, soprattutto, in campagna, a causa dell’inquinamento dell’acqua (gli azzurri fiumi e le rogge trasparenti) sono cominciate a scomparire le lucciole. Il fenomeno è stato fulmineo e folgorante. Dopo pochi anni le lucciole non c’erano più. (Sono ora un ricordo, abbastanza straziante, del passato: e un uomo anziano che abbia un tale ricordo, non può riconoscere nei nuovi giovani sé stesso giovane, e dunque non può più avere i bei rimpianti di una volta). Quel ‘qualcosa’ che è accaduto una decina di anni fa lo chiamerò dunque ‘scomparsa delle lucciole’ ”.
Dopo la scomparsa delle lucciole si ha la falsificazione e l’abbandono dei “valori nazionalizzati… del vecchio universo agricolo e paleocapitalistico… Chiesa, patria, famiglia, obbedienza, ordine, risparmio, moralità non contano più. E non servono neanche più in quanto falsi… A sostituirli sono i ‘valori’ di un nuovo tipo di civiltà, totalmente ‘altra’ rispetto alla civiltà contadina e paleoindustriale”. Il nostro paese viene sottoposto alla “prima unificazione reale”.
L’industrializzazione degli anni Settanta e il comportamento coatto del potere dei consumi ha realizzato una ‘mutazione’ profonda, decisiva ricreando e deformando la ‘coscienza’ del popolo italiano, “fino a una irreversibile degradazione. Non siamo più di fronte, come tutti ormai sanno, a ‘tempi nuovi’, ma a una nuova epoca della storia umana, di quella storia umana le cui scadenze sono millenaristiche”1.

La provocazione politica

“La morte delle lucciole” “era una provocazione politica ben chiara e intenzionale. Pasolini si lamentava poeticamente che non ci fossero più le lucciole, ma insieme accusava la nostra classe dirigente di aver promosso un certo modello di sviluppo, di aver organizzato in un certo modo la nostra vita, di avere inquinato le nostre campagne e le nostre città. E insieme vedeva la sparizione di tanti altri fatti sociali, popolari: certe culture, certe possibilità di intervento democratico, la vita dei paesi e delle province brutalmente violentata dai modelli del centro” (Paolo Volponi, ricerca web). Le “Lettere luterane” raccolgono articoli nei quali Pasolini intende indicare ed individuare le cause dei più importanti problemi della società italiana. Essi sono più gravi del 1945: “la distruzione è ancora più grave, perché non ci troviamo tra macerie, sia pur strazianti, di case e monumenti, ma tra macerie di valori”2, rintracciabili in una classe politica incapace e disonesta, espressa dai “gerarchi dc”, che hanno preso possesso del “Palazzo”. La sua redenzione è possibile solo attraverso un Processo pubblico, i cui capi d’accusa sono elencati dallo stesso Pasolini: “indegnità, disprezzo per i cittadini, manipolazione di denaro pubblico, (…) connivenza con la mafia, (…) uso illecito di enti come il Sid, responsabilità nelle stragi di Milano, Brescia, Bologna (almeno in quanto colpevole incapacità di punirne gli esecutori), distruzione paesaggistica e urbanistica dell’Italia, responsabilità della degradazione antropologica degli italiani (responsabilità, questa, aggravata dalla sua totale inconsapevolezza), responsabilità della condizione, come si usa dire, paurosa, delle scuole, degli ospedali e di ogni opera pubblica primaria, responsabilità dell’abbandono ‘selvaggio’ delle campagne, responsabilità dell’esplosione ‘selvaggia’ della cultura di massa e dei mass-media, responsabilità della stupidità delittuosa della televisione, (…) distribuzione borbonica di cariche pubbliche ad adulatori”3 ed altro.
La Democrazia cristiana ha continuato a perpetuare le vecchie retoriche fasciste presentate in veste ipocritamente democratica. Per proteggere il proprio potere ha continuato a far durare nel tempo le stesse istituzioni create durante il fascismo: la scuola pubblica, l’esercito, la magistratura. “La Democrazia cristiana è vissuta nella più spaventosa assenza di cultura, ossia nella più totale, degradante ignoranza”. Pasolini rivolge un attacco alla borghesia, ignorante e inetta che nel consumismo ha il suo più saldo strumento di potere di cui è espressione la DC.

Note

1 Cfr. Pier Paolo Pasolini, Il vuoto di potere in Italia, in “Corriere della Sera”, 1 febbraio 1975.

2 Pier Paolo Pasolini, Lettere luterane, Einaudi, p. 83.

3 Pier Paolo Pasolini, Lettere luterane, Einaudi, p. 114.