Pensieri spettinati

Confrontarsi con Persone andate a male equivale ad imbattersi nella sinossi di una vita, che tracima in righe maleducate, che stermina il perbenismo di facciata, che esplode in una miriade di schegge potenti e carnali che tratteggiano una prosa già matura.

Carmen Ranfone è un talento istintivo, incontenibile, che servendosi di inattese carambole lessicali, esonda in una prosa abrasiva, in una scrittura per immagini più simile a sequenze filmiche, che al concetto tradizionale e consolidato di letteratura.

Non esiste un filo conduttore, non c’è logica in una prosa perennemente in equilibrio tra l’essenzialità ed il colore della virulenza che si trasfigura in emozione.

Parole sciolte, pensieri spettinati che fluiscono in linee di pensiero che diventano metaletteratura, barlumi di controcultura che si identificano in stanze di vita quotidiane, nelle quali si riflettono le mille esistenze di una mente inquieta.

La parola diventa un contorno volutamente scarno, il significante tracima tra le righe senza alcuna concessione, senza l’orpello di aggettivazioni che svuoterebbero di ogni significato le immagini che impattano sul lettore.

Volutamente non c’è alcun accorgimento schematico ad addolcire il foglio, a ripulire le scorie di una scrittura irruenta e non giustificata, di una prosa che, a tratti, diventa poesia per poi raggomitolarsi su se stessa a creare barlumi di purezza, da percepire sul terreno insidioso di flussi narrativi strappati a morsi.

Persone andate a male è un prisma di rifrazione, un caleidoscopio di essenze diverse che conducono, attraverso una quotidianità mai modaiola, all’eccidio di quegli artifici ipocriti che, razzolando tra il fango del politicamente corretto, sono i veri carnefici dell’innocente sostanza dell’arte.

Questo libro è il prezzemolo tra i denti, l’isola non trovata, l’utopia, la disconnessione da una sensorialità che viene nascosta sotto il tappeto di visioni oniriche, di profondità tanto insondabili e sensuali che a tratti non basta un cuore soltanto per reggerne l’impatto.

Ogni singola lettera diventa un tatuaggio, una cicatrice, un vaffanculo sputato in faccia all’apparenza, un mostrarsi senza veli e senza pudore al manicheismo che imbriglia il pensiero, l’urlo di guerra di una mente libera che si racconta senza compromessi, senza scuse, senza paracadute.

Carmen ci restituisce lo stupore, l’inatteso, l’imprevedibilità, la goccia di limone in un mare di cioccolato, l’eresia vergine in questa umanità di passanti distratti.

Si farebbe presto a cercare e trovare riferimenti con altri scrittori, sarebbe fin troppo semplice rievocare nella scrittura, a tratti onirica, di Carmen Ranfone lo psichedelico coma di Giambattista Bodoni, protagonista de “la misteriosa fiamma della regina Loana”, o in un capitolo visionario l’efficacia dinamitarda di Ungaretti, ma la sostanza è che Carmen è semplicemente Carmen: una ragazza preda del suo stesso talento, vittima della sua frenesia di esplodere nei colori più potenti del silenzio.

Il territorio di questo libro, destinato a diventare un topos letterario, è l’essenza della femminilità che, attraverso l’inquietudine, racconta ferite che soltanto l’amore nella sua essenzialità può sanare.

Un’architettura senza regole, pensieri sciolti che fluiscono a fior di labbra, sudore, carne, sangue, inespresso: tutto si ritrova in una molteplice unicità mai lineare, mai scontata, a volte tortuosa ed irruenta, ma che restituisce l’immagine di una artista completa, bastevole a se stessa, mai autoreferenziale.

Bisogna sporcarsi le suole per entrare nello spirito di “Persone andate a male”, affondare nel suo fango e restarne intrappolati, ritrovarsi in quella terra di nessuno dove ogni altro da noi viene palesato con ferocia, messo alla berlina, spogliato di ogni apparenza.

Leggetelo di getto, non filtrate l’impatto delle righe con la ragione, lasciatevi trasportare dalle emozioni che straripano: soltanto così lo amerete come merita, soltanto così il talento di Carmen Ranfone vi apparirà in tutta la sua insondabilità, esplodendovi tra le mani, con la virulenza che soltanto un artista vero e completo è capace di trasmettere.

Con Persone andate a male nasce un filone, un progetto inaudito ma compiuto, un genere letterario destinato a far parlare di sé a lungo ed a rappresentare un modello, un’ispirazione per tutti coloro che “sapranno” leggerlo.

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Ivano Ciminari

Sessant'anni, laureato senza infamia e senza lodo in giurisprudenza, saggista pentito, burattinaio di parole, impegnato ad invecchiare senza maturare mai.
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