Il menù dei filosofi

Anche i filosofi hanno avuto i loro piatti preferiti e l’attenzione riservata al cibo la rileviamo sia dalle loro autobiografie che dalle opere filosofiche. Un noto motto afferma che non si può pensare con la pancia vuota, a tal proposito Aristotele nella Metafisica ci ricorda che la filosofia nasce quando l’uomo ha soddisfatto i suoi bisogni primari. Lo stesso Platone non era insensibile al “mangiar bene”: da quanto sappiamo preferiva olive e fichi secchi.

I pitagorici in ossequio al principio della metempsicosi ritenevano che l’uomo dovesse evitare la carne e cibarsi di soli vegetali.

Epicuro fu sobrio ed equilibrato anche nel cibo. Nella Lettera a Menarca si legge tra l’altro che “né il gustare pesci e altre cibarie, quante ne porta una tavola riccamente imbandita, [può dar] luogo a una vita piacevole, bensì il ragionamento assennato, che esamina le cause di ogni scelta e repulsa e che elimina le opinioni per effetto delle quali il pur grande turbamento attanaglia le anime”.

Lucrezio nel De rerum natura (III, 931) ricorre a un’immagine “culinaria” per superare la paura della morte. “Chi sta per morire è bene che ragioni come un convitato sazio alla fine del banchetto. Se la vita è stata colma di gioia, allora ci si può ritirare come un convitato sazio alla fine del banchetto; se invece è stata piena di dolori e tristezze, allora non bisogna desiderare che prosegua”.

Seneca amava la cucina poco elaborata, semplice, ma genuina. Nel De tranquillitate animi scrive: “Mi piace il cibo che non debbono elaborare e sorvegliare stuoli di servi, non ordinato molti giorni prima né servito dalle mani di molti, ma facile a reperirsi e semplice”.

Porfirio, in Astinenza dagli animali, come i pitagorici sostiene la necessità di essere vegetariani: gli animali non possono essere sfruttati dall'uomo e considerati disponibili per i suoi bisogni. “La carne non contribuisce alla buona salute, ma è piuttosto un ostacolo ad essa. La salute si conserva con quei cibi dai quali essa riceve forza: da una dieta leggerissima e senza carne”. Tale astinenza viene vista anche nella prospettiva ascetico-religiosa: un’alimentazione a base di frutta e verdura è anche migliore per la vita dell'anima e adatta ad un uomo religioso che cerca l’assimilazione al divino nel distacco da tutte le passioni e da tutti i piaceri del corpo.

Friedrich Nietzsche non aveva un modo di cibarsi particolarmente ordinato. Preferiva uova, noci, riso, patate, fave, mele, biscotti, latte e soprattutto salsicce che si faceva regolarmente inviare per posta dalla madre e che appendeva ad una parete tramite una cordicella.

Immanuel Kant amava la “buona tavola”, e quando assaggiava qualcosa di nuovo si faceva dare la ricetta. Preferiva la cucina semplice, alla buona; i suoi pasti duravano molto, non mangiava mai da solo, preferiva che i commensali fossero da tre a nove: “Non meno delle Grazie e non più delle Muse”. Un giorno che si trovava da solo incaricò il cameriere di invitare il primo passante a pranzo.

Ludwig Feuerbach nella sua opera Il mistero del sacrificio o l’uomo è ciò che mangia si propone l’obiettivo di sostenere il materialismo in opposizione all’Idealismo di Hegel che pensa il mondo in base a categorie astratte. Feuerbach fa riferimento ad un mondo concreto, reale e pone in luogo della filosofia speculativa, della religione, dello Spirito Assoluto o di Dio, l’uomo dell’esperienza quotidiana.

Feuerbach mette al centro l’uomo, il quale, nel rapporto dell’Io e del Tu, si pone come un essere appartenente alla comunità. L’alimentazione è una delle espressioni dei rapporti sociali nel loro complesso. Sono le rivoluzioni e lo sviluppo storico a modificare l’alimentazione e a creare diversità di gusti nella scelta del cibo (ad es. le semine regolari si sono sviluppate in seguito a considerazioni emerse in opposizione al nomadismo).

L’alimentazione è espressione di rapporti sociali nel loro complesso “e ogni raggruppamento sociale ha una sua fondamentale alimentazione, ma allo stesso modo si può dire che l’uomo è il suo appartamento, l’uomo è ‘il suo particolare modo di riprodursi’, cioè la sua famiglia, poiché l’alimentazione, l’abbigliamento, la casa, la riproduzione sono elementi della vita sociale in cui appunto in modo più evidente e più diffuso (cioè con estensione di massa) si manifesta il complesso dei rapporti sociali”1.

Karl Marx prestava maggiore attenzione al bere più che al mangiare. Era un gran bevitore di birra, a differenza di Hegel che preferiva il vino.

Arthur Schopenhauer amava pranzare al ristorante inglese. Prima di iniziare il pasto posava sulla tavola una moneta d’oro che riponeva in tasca alla fine del pranzo. Spiegò al cameriere che gli chiedeva il significato della cerimonia, che lui avrebbe donato la moneta ai poveri il giorno in cui avrebbe udito gli ufficiali inglesi che pranzavano nel ristorante, discorrere di qualcosa di diverso di cavalli o di donne. Secondo Ernest Bloch: “l’uomo non vive di solo pane, specialmente quando non ne ha”. È nei periodi di carestia, di guerra che si mira a superare il presente e a sperare in un futuro migliore.

Note

1 A. Gramsci, Il materialismo storico, Editori Riuniti, Roma 1977, pp. 35-38.