Antigone e lo spirito tragico

Secondo Aristotele la tragedia, rappresentando azioni e personaggi particolari, mette in luce quanto in essi vi è di universale e può valere per tutti e in ogni circostanza. Nella Poetica, pone l’attenzione su due aspetti dello spirito tragico, la mimesis o imitazione da parte dello spettatore, e la katharsis, o purificazione attraverso la rappresentazione del dramma nel quale ci si è immedesimati.

La “tragedia è opera imitativa di un’azione seria, completa, con una certa estensione; eseguita con un linguaggio adorno distintamente nelle sue parti per ciascuna delle forme che impiega; condotta da personaggi in azione, e non esposta in maniera narrativa; adatta a suscitare pietà e paura, producendo tali sentimenti la purificazione che i patimenti rappresentati comportano” (1149 b 24-28).

Tuttavia non tutti concordano con la definizione di Aristotele. La caratteristica del tragico non va individuata nella catarsi: nella tragedia non è contemplata la ricerca di risposte, ma la presenza di una disarmonia nell’ordine del mondo. Il suo manifestarsi avviene allorquando si presentano particolari circostanze storiche e non possono più essere accettate le risposte tradizionali fornite dal pensiero razionale e dalla fede religiosa.

Lo spirito tragico è l’espressione immediata, primigenia, di uno scompenso, di un malessere, di una disarmonia, di una scoperta tragica dell’esistenza. Secondo Nietzsche il contrasto primigenio degli opposti (caos-ordine, nascita-morte) è il fondamento ontologico della vitale sensibilità greca che avverte con profondità la tragicità della vita, la limitatezza e la finitudine dell’esistenza, nel gioco dialettico tra l’illusione – che rende accettabile la vita racchiudendola in forme stabili ed armoniose (apollineo) – e l’esperienza del perdersi di ogni forma stabile nel flusso della vita (dionisiaco).

Il senso della vita non è scontato e va sempre cercato di nuovo e sempre daccapo, indipendentemente da ogni certezza che può dare la tradizione. Tale ricerca richiede audacia, sofferenza, angoscia; può sfidare anche gli dèi, la morale costituita esponendosi ai contraccolpi e alle reazioni che un simile atteggiamento anticonformista inevitabilmente può provocare.

“L’uomo scopre di essere solo, di non avere niente e nessuno né alle spalle, né davanti a sé; scopre che dèi e sacerdoti, filosofi e scuole, sono solo elementi creati per offrire risposte, cioè rassicurazioni, su ciò che non può essere esplorato sino in fondo, e che, pertanto, rifiuta, per sua stessa natura, rassicurazioni e razionalizzazioni: il regno del caos, dell’informe, del disordine, che ribolle sotto le apparenze rassicuranti del mondo ordinato, composto dalla ragione e ‘spiegato’ dalla religione.” (1)

Il V sec. A.C. è il periodo storico in cui Atene diventa il centro della vita intellettuale dell’Ellade, dopo essere uscita trionfante dall'influenza dell'impero persiano e aver attuato la riforma di Efialte (462 a.C.) che diede inizio all'epoca della “democrazia radicale” ateniese.

Nascono le grandi tragedie greche che non sono semplici rappresentazioni messe in scena per commuovere o far partecipare la gente al dolore delle vicende umane, ma descrivono i problemi sorti nella città e, all'interno di una dimensione sacrale, mettono in scena i diritti del popolo, il senso di colpa, la lotta contro le leggi che sono ritenute ingiuste.

In Antigone la protagonista obbedisce alla legge della pietà famigliare, alla norma superiore fissata da dei arcaici precedenti agli abitanti dell’Olimpo, mentre Creonte rappresenta il rigido esecutore della norma da lui promulgata, che vieta alla fanciulla di dare degna sepoltura al fratello Polinice, morto da traditore per aver combattuto contro la propria patria.

La sepoltura è un atto umano che sancisce il riconoscimento del singolo essere come amato; è un’azione etica, assolutamente necessaria, perché il morto non si trovi in balia del vento e degli animali, perché non resti solo un corpo destinato a dissolversi (2).

Il contrasto tra il diritto di Antigone che difende la santità dei vincoli di sangue e grida al “dolce vento” la sua indignazione e la sua rivolta contro Creonte, perché non ignori le leggi degli dei, rappresenta il conflitto tra resistenze arcaicizzanti e tensioni modernizzanti nel governo della città.

Dialogo tra Creonte e Antigone:

“Creonte E tu hai osato sovvertire queste leggi?
Antigone Sì, perché non fu Zeus a impormele. Né la Giustizia, che siede laggiù tra gli dei sotterranei, ha stabilito queste leggi per gli uomini. Io non credevo, poi, che i tuoi divieti fossero tanto forti da permettere a un mortale di sovvertire le leggi non scritte, inalterabili, fisse degli dei: quelle che non da oggi, da ieri vivono, ma eterne: quelle che nessuno sa quando comparvero. Potevo io ­per paura di un uomo, dell'arroganza di un uomo, venir meno a queste leggi davanti agli dei? Ben sapevo di essere mortale, e come no?, anche se tu non l’hai decretato, sancito! Morire adesso, prima del tempo, è un guadagno per me. Chiunque vive fra tante sciagure, queste in cui vivo io, continue, come potrà non ritenersi fortunato, contento, se muore? Subire la morte quasi non è un dolore, per me. Sofferto avrei invece, e senza misura, se avessi lasciato insepolto il corpo morto di un figlio di mia madre. Il resto non conta nulla. A te sembrerà ch’io agisca da folle. Ma chi mi accusa di follia, forse è lui, il folle.” (3)

“Da una parte, le radici tradizionali della città, lo ius ‘non scritto e non mutabile, che non è di ieri né di oggi, ma da sempre, di cui è ignota la rivelazione’ […] Dall'altra parte, la forza innovatrice di una società-stato proiettata a divenire potenza egemone del mondo greco, fondata su leggi proclamate vittoriosamente alla luce del sole per valere universalmente; leggi che esigono ubbidienza uniforme e incondizionata, spezzano l'unità dei legami interpersonali e familiari, travolgono eros, amore coniugale, sentimento paterno, fraterno e filiale, ignorano la contiguità del sangue e sono garantite dall'elemento maschile della società, il re, unico e supremo legislatore.” (4)

Il processo di democratizzazione e di trascrizione del diritto veniva condannato da coloro i quali rivendicavano con convinzione il privilegio della custodia e dell’amministrazione di un codice giuridico di tradizione orale e di legittimazione divina, di origine arcaica, fondato su gerarchie assiologiche risalenti ad una civiltà ormai largamente superata.

La norma dell'agire, il cui contenuto viene di solito stabilito dall’uomo rispecchiando il criterio dell’obiettività, è denominata lex, mentre con la parola ius si intende prendere in considerazione l’ente visto dalla parte esistenziale. “Così abbiamo due espressioni che sembrano, a prima vista, significare due realtà distinte. La distinzione in lex e ius viene fatta riguardo alla funzione di quello che in generale viene espresso con termine diritto.” (5)

Gustavo Zagrebelsky, partendo dal mito di Antigone, ci ha proposto una riflessione sul rapporto tra lex e ius.  Egli nega che vi sia coincidenza tra la legge e la giustizia. “Questo perché durante la tradizione la lex ha prevalso sullo ius perciò il diritto si è identificato totalmente con le leggi.” (6) Il conflitto della giurisprudenza tra ius e lex, è presente nella tragedia greca Antigone di Sofocle, rappresentata per la prima volta ad nel 442 a.C. (7)

Note

1.     Alessandro Serpieri, Presentazione di W. Shakespeare, Tito Andronico, Milano, Garzanti, 1989, pp. XVII-XIX.

2.     Cfr. Sotera Fornaro Carocci, a cura di, Antigone Storia di un mito, Editore Carocci, 2012, pag. 110.

3.     Sofocle, Antigone, trad. it. E. Cetrangolo, in., Tragici greci, 2 voll., vol. I, Firenze 1989, vv. 559-585

4.     Gustavo Zagrebelsky, Antigone e la legge che smarrisce, la Repubblica.it, 2003-06-25.

5.     Tomasz Galkowiski, Il “Quid ius” nella realtà umana e nella chiesa, Editrice Pontificia Università Gregoriana, Roma 1996, pag. 25.

6.     Gustavo Zagrebelsky, La Legge e la Giustizia, dalla Lectio Magistralisl, tenutasi martedì 21 aprile 2015 nell’Aula Magna del “Campus Luigi Einaudi” a Torino.

7.     La data della rappresentazione ad Atene alle Grandi Dionisie del 442 a. C, è la più probabile, ma non si possono escludere il 443 o il 440 a.C.